PROFILI DI MUSICISTI A BRESCIA
NEL TRICENTENARIO DELLA NASCITA DI
BENEDETTO MARCELLO
UN VENEZIANO A BRESCIA
di FLORIANA BIONDI
"Benedicto Marcello Patritio Veneto Pientissimo
Philologo Poetae Musice Principi Quaestori Brixiensi U.M. An.Ci. CCXXXIX
VIII Cal. Aug. Posuit Vixit A. LII. XI. D. XXVIII".
Così l'epigrafe posta sulla facciata della chiesa di S. Giuseppe a
Brescia ricorda ancor oggi ai cittadini bresciani la figura del grande
musicista.
Nato a Venezia trecento anni fa, esattamente il 24 Luglio 1686, Benedetto
Marcello trascorre i suoi ultimi mesi di vita a Brescia. Qui giunge
infatti nel Maggio 1738 stanco ed ammalato, con l'incarico di Camerlengo
della Repubblica Veneta (carica che corrisponde all'attuale Intendente di
Finanza) e qui si spegne l'anno successivo. Viene sepolto nella chiesa di
S. Giuseppe accanto a Gasparo da Salò.
Definito nella critica e nelle stampe settecentesche "principe della
musica" o "Michelangelo della musica", Benedetto Marcello fu uno dei più
celebri ed applauditi musicisti del diciottesimo secolo.
L'arco della sua vita coincide con l'ultimo grande periodo di splendore
della città di Venezia, quando all'ormai avviato ed inarrestabile
disgregamento economico-politico-sociale corrispondeva ancora,
stranamente, una ostentata manifestazione di opulenza e di benessere, che
si esprimeva in una sorta di festeggiamento collettivo ove la musica
regnava ovunque sovrana.
E il giovane Marcello? Come viveva in una città passata poi alla storia
come mito di un'epoca di follie, piaceri, spregiudicatezze, come la favola
di un mondo fatto solo di ironia, canzonature, di feste, balli e carnevali
interminabili?
Incline anch'egli, da buon veneziano, allo scherzo e alla satira,
partecipò con interesse alla vita musicale della città, ma con un
atteggiamento che perlomeno potremmo definire distaccato.
L'appartenenza aduna nobile famiglia patrizia e la conseguente carica di
funzionario di Stato lo ponevano in un sorta di aristocratica ed
incorrotta solitudine e l'orgoglio con il quale amava definirsi "nobile
dilettante" di musica indica chiaramente
come volesse mantenere un atteggiamento di estraneità all'ambiente
professionale.
La forza del suo temperamento polemico, unita ad una notevole sensibilità
estetica e alla vastità della sua cultura - non dimentichiamo che Marcello
fu uno dei musicisti più colti della sua epoca, - gli consentirono analisi
spietate del mondo corrotto e convenzionale del melodramma.
Con il "Teatro alla moda", pubblicato anonimo, egli ci ha lasciato la più
interessante fonte critico-descrittiva dell'ambiente operistico veneziano
dell'epoca.
Quasi un preannuncio del "Giorno" pariniano, l'opera satireggia con
arguzia ed umorismo tutti i difetti del teatro lirico. Nessun personaggio
viene risparmiato, dal compositore alla maschera, dal poeta alla madre
della virtuosa, dai sarti agli "affittascagni", anzi la satira si fa più
feroce laddove colpisce tutta quella cerchia di personaggi che non
partecipano direttamente alla messa in scena dell'opera ma gravitano
intorno ad essa come parassiti.
E, fra le righe, si legge anche un duro attacco al Vivaldi, da Marcello
considerato il maggior rappresentante della corrotta vita teatrale e nei
suoi confronti mantenne sempre un atteggiamento di profonda antipatia,
peraltro ricambiata.
Oltre ad essere un valido letterato e poeta, - oltre al "Teatro della
moda" scrisse infatti anche dei sonetti, - Benedetto Marcello fu
soprattutto un musicista di prim'ordine. La sua produzione comprende fra
l'altro 196 cantate ad una voce e 60 a due e basso continuo, quattro
oratori, l'intreccio scenico "Arianna", una discreta quantità di musica
sacra quasi tutta manoscritta, 12 concerti a cinque, 12 sonate per flauto,
6 sonate per violoncello ed altra musica strumentale fra cui alcune sonate
per clavicembalo.
Ma l'opera che gli procurò maggior fama fu "L'Estro poetico Armonico.
Parafrasi sopra li primi cinquanta Salmi di Davide".
Musicati fra il 1724 e il '27 su testo di Girolamo Ascanio Giustiniani,
questi salmi rappresentano un "corpus" unico nella produzione italiana del
primo Settecento, un fenomeno a sé stante, spiegabile solamente tenendo
conto dello spirito indipendente del "dilettante" veneto.
Rifiutando il virtuosismo locale di stampo operistico, che ormai si era
instaurato anche nella musica sacra, Marcello adotta linee melodiche
semplici, atte a valorizzare il significato del testo, inserisce, da
erudito quale è, antiche melodie ebraiche e si compiace di citazioni
madrigalistiche.
Frutto della maturità artistica del compositore e destinata ad un
ristretto pubblico “d’elite", l'opera divenne in breve tempo popolare in
tutta Europa. Mattheson, Gasparini, Bononcini, Conti, Avison e tanti altri
musicisti dell'epoca esaltarono la bellezza e la carica emozionale dei
salmi, la levigatezza e la semplicità dei contrappunti.
Lo stesso Giuseppe Verdi annovera il Marcello fra i più insigni musicisti
del passato e di lui addita-va i recitativi come esempio e modello agli
allievi di composizione.
E in effetti l'arte marcelliana, pur nell'uso costante di un linguaggio
consueto al suo tempo, ha tuttavia un accento inconfondibile. Non
innovazioni, non ardimenti, ma una nettezza di disegno, una precisione di
scrittura, una forza di sentimento che ne fanno un musicista imponente.
Gli ultimi anni di vita del compositore furono turbati da una profonda
crisi religiosa. Fin dal tempo in cui componeva i salmi, il suo carattere
così allegro e gioviale si era andato trasformando. Nel giro di pochi anni
egli divenne sempre più triste e meditabondo. Ad aggravare questa
situazione contribuì anche un avvenimento spiacevole. I biografi
raccontano che un giorno in una chiesa gli si aprì una tomba sotto i piedi
ed egli vi cadde. Quell'improvviso contatto con la morte. lo sconvolse
profondamente.
Ormai ossessionato dall'idea della prossima fine, angosciato da violenti
sensi di colpa, giunse perfino ad odiare la musica, rifiutata come arte
corrotta. In tali condizioni e per di più gravemente ammalato di malaria
venne inviato a Brescia.
La vita che condusse nella nostra città fu improntata unicamente alla
preghiera e alla meditazione. Tralasciò del tutto la musica e solo di
tanto in tanto si dedicò alla composizione di versi religiosi. Un suo
intimo amico, il carmelitano padre Giovanbattista Cinelli, che gli fu
vicino in quegli ultimi mesi, così descriveva le sue giornate: "Svegliato
la mattina, si volgeva a Dio pregando. Recitava l'officio della B.V. della
quale era devotissimo, e alla sua intercessione attribuiva la misericordia
usatagli dal suo Divino Figliuolo.
Vestivasi, e uscendo in pubblico, i primi passi erano alla chiesa dei
Minori Osservanti, tra' quali aveva eletto per sua guida spirituale il P.
Basilio Fapani. Inginocchiatosi in terra e quasi estatico, udiva la santa
Messa; di poi portavasi dove il suo ministero lo chiamava. Sempre egli
amministrò le cose pubbliche con somma integrità e diligenza.
Alcuna volta portavasi ad altre chiese; quando due volte alla settimana, e
quando tre volte i Santissimi Sacramenti della Confessione e Comunione
umilissimamente e religiosamente riceveva.
... Sulla sera usciva al passeggio, ma non lasciava di tornare innanzi
all'adorazione del SS. Sacramento, dove fosse esposto, e ricever la
Benedizione. Spesse volte portavasi alla B.V. delle Grazie.
Con molta celebrità si discopre ogni anno la Sacra Immagine, e in tale
occasione il Marcello vi si vedeva lungamente orare tutto elevato in Dio,
e quasi astratto da' sensi.
Il popolo affollato lo premeva ed urtava, ma nessuna cosa turbava la sua
quiete o poteva toglierlo a' suoi santi pensieri ed affetti».
Ma più che le ossequiose descrizioni di chi lo conobbe di persona, le
testimonianze più vere di quella profonda crisi spirituale che lo aveva
sconvolto si possono trovare nelle sue ultime composizioni poetiche. Nel
poemetto "La Redenzione", rimasto incompiuto per il sopraggiungere della
morte. si legge:
Ma quante, quante ancor note profane / Questa man non segnò, quando mi
prese / Musica a' miglior' anni, e qual rimane / Frutto d'ore sì lunghe
indarno spese?
Nessuna musica dunque a Brescia e nessun contatto con la vita musicale
della città, solamente un uomo stanco o scosso profondamente, un uomo che
moriva lontano dai suoi, rinnegando il suo passato e la sua arte. Spirò lo
stesso giorno in cui era nato: il 24 Luglio 1739.
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