PROFILO DI UN MUSICISTA BRESCIANO
DAL LAGO DI GARDA:
UN'ASSOCIAZIONE INTITOLATA A G. BENVENUTI
di Enrico Raggi
Con recente atto notarile si è costituita
ufficialmente a Toscolano-Maderno la "Libera associazione Musicale Giacomo
Benvenuti (Civico Liceo Musicale)".
Benvenuti nato a Toscolano nel 1885, fu persona di enorme levatura
artistica e vero protagonista della faticosa rinascita culturale italiana
di inizio secolo.
Studiò musica con il padre Cristoforo, poi a Brescia con Vincenzo Sacchi e
Paolo Chimeri, infine a Bologna con Luigi Torchi e Marco Enrico Bossi.
Nel 1909 si diploma in composizione: è di quegli anni l'amicizia con
Ottorino Respighi, la cui lontana ascendenza è rintracciabile nel "Poema
Sinfonico" databile intorno al 1910, e in molte liriche per canto e
pianoforte, tuttora inedite.
La sua attività di compositore si rivela degna di nota ne 1912, quando
Giacomo Benvenuti vince un concorso con una ouverture.
Altra vittoria in un concorso ufficiale con un Quartetto, eseguito oltre
60 volte nel primo anno, in tutta Europa.
Analogo trionfo anche al concorso del "Secolo" con l'opera "Juan Josè",
che egli non lasciò nè eseguire, nè pubblicare, in attesa di alcuni
ritocchi che non arrivarono mai più.
Scrisse anche una "Sinfonia" (inedita). Le sue uniche opere che possiamo
ritrovare pubblicate sono i "Frammenti Lirici" per canto e pf., Ricordi
1918, le "Tre quartine di Omar Kajan"; Ricordi ‘29, una raccolta di pezzi
per pf., edita presso Casa Schott di Magonza, comprendente: Danze
all'antica, Canzone Triste, Romanze, Preludio, Danza di piccole fate,
Lettura; infine, a Bologna la Casa Pizzi stampava i suoi "Cinque Canti a
una Voce".
Benvenuti fu anche concertista, direttore d'orchestra, insegnante di canto
(maestro di Giuseppina Cobelli), organista. (È significativo motivo di
riflessione il fatto che, per esercitare quest'ultima attività, nella
parrocchia di Toscolano egli abbia dovuto sostenere un esame di
ammissione!).
La frequentazione della biblioteca del Liceo bolognese ci svela regni
inesplorati ed un patrimonio artistico enorme; per poter chiamare a vita
questi tesori.
Benvenuti parte per Monaco a frequentare i Corsi Universitari di
Musicologia, tenuti da Adolph Sanderger (in Italia il corso di Laurea in
Musicologia, quadriennale, ha iniziato la sua esistenza solo nel 1979
...).
Cominciano quindi le prime trascrizioni di Sinfonie e di Suonate del
Sammartini, Toccate di Frescobaldi, Ricercari di Cavazzoni.
Egli pubblica per Carisch, Ricordi, Bocca, Suvini Zerboni, lavori di
autori poco noti come Rasi, Manzolo, Berti, Maniscalchi, Fonteri, Ziani,
Busca, Gregori, Pistocchi, Sabes e molti altri, oltre che opere di
musicisti famosi: Monteverdi, Zipoli, Galuppi, A. e G. Gabrieli, B.
Marcello, Piccinni, Locatelli, Fogliano, Segni.
Il suo ultimo traguardo sono "I classici della musica italiana", Società
editoriale fondata con l'aiuto di Eugenio Bravi, a Barbarano di Salò, con
sede presso il Rimbalzello, progettati in 60 volumi.
Ma la morte lo coglie mentre sta lavorando all'Oratorio della S. S.
Trinità di Scarlatti, lasciandogli appena iniziati i "Classici", troncando
l'ansia di lavoro ed il fervore di chi comunica un contenuto.
Benvenuti apparve quindi attivamente partecipe alla riscoperta dell'antico
operata assieme a Malipiero, Cesari, Gasperini, Bastianelli, Torrefranca,
Chilesotti fra i musicologi, tralasciando Respighi, Dallapiccola, Casella,
Pizzetti.
La restituzione di musiche del passato fatta da Benvenuti si dibatte fra
positivismo ed idealismo, ambiguità di trascrizione e pastiche
neoclassico; la prassi interpretativa, vista con gli occhi moderni, è
lontana da una qualche parvenza di verità.
Il Monteverdi che negli anni Trenta Giacomo Benvenuti fornì ai teatri
italiani ci lascia sbigottiti e c'induce a pensare che il Nostro
Musicologo ignorasse dove la filologia stesse di casa; oppure fosse
impazzito.
Inoltre la scelta del programma editoriale del "Classici" fu condotta con
intenti eminentemente pratici, destinato a pianisti, violinisti, cantanti,
secondo un gusto ancora fin de siècle, con molti pezzi staccati uso bis,
armonizzati secondo i canoni della romanza ottocentesca, purgati da
"indebiti" vocalizzi, ritenuti incongrui.
L"'Orfeo" monteverdiano "secondo Benvenuti", tanto acclamato e conteso da
molte città italiane, è un capolavoro di topoi interpretativi del tempo: i
5 atti originari si riducono a 3; la disposizione interna è ribaltata e
mescolata a piacere secondo un presunto potenziamento espressivo; la
realizzazione del basso continuo è tutta accordi ribattuti, fitte scalette
di crome e semicrome, disegni ornamentali, disegni in contrappunto,
successioni di settime e modulazioni enarmoniche totalmente sconosciuti a
Monteverdi; i passi ritenuti statici vengono movimentati ed amplificati;
accadono crudeli interpolazioni con brani di Giovanni Gabrieli e con
madrigali monteverdiani; ritornano leit-motive e forme cicliche.
Aleggia ovunque un intento di spettacolarizzare la favola: basti vedere le
minuziose e fantascientifiche didascalie, inventate di sana pianta.
L'organico orchestrale acquista spessore di segno addirittura wagneriano,
con contro fagotti, 4 corni in fa, 3 tromboni, basso tuba, 2 arpe;2
fagotti, clarinetto basso, fra i tanti strumenti.
Sorprende però il fatto che Benvenuti e gli altri, documenti alla mano,
sapevano con sufficiente approssimazione come le opere di Monteverdi
fossero eseguite ai loro tempi, ma non avevano nessuna fiducia che un
pubblico del nostro secolo potesse mai accettare prassi tanto antiquate;
ricorrevano cosi a compromessi (e quali compromessi!), e ne soffrivano.
Lo strano è che ne soffriva anche il pubblico; il quale alla sinfonizzata
"Incoronazione di Poppea" di Benvenuti s'addormentava, mentre oggi a
quella nuda e gracchiante di Alan Curtis o a lavori di Harnoncourt
s'infiamma.
Eppure negli anni Ottanta gente come L. Virgili pubblica madrigali di
Marenzio abbassandoli di un semitono, inserendo doppi diesis, toccando
tonalità di Sol diesis minore, scribacchiando forcelle varie e "ff" ad
effetto.
AI confronto di queste coscienti (e perciò più colpevoli) "bestemmie",
l'opera di Benvenuti odora se non di santità o beatitudine, almeno di
buona fede.
Egli voleva salvaguardare le orecchie degli ascoltatori, che riteneva
arretrati e diseducati (provate, oggi, a suonare per tre secondi un
accordo di sesta eccedente, in chiesa con l'organo, valutate le reazioni
dei fedeli e poi ditemi che è diseducato).
Scrive Benvenuti nel 1937: "Tutti gli sforzi non possono essere diretti ad
altro che alla fedeltà". Dispiace che questa schizofrenia fra edizione
filologica ed edizioni d'uso perduri ancora oggi, a distanza di quasi un
secolo dal musicologo benacense. |