PROFILI DI MUSICISTI A BRESCIA
DA SALÒ CON TALENTO
FERDINANDO GASPARO TURRINI
di FULVIA CONTER
Il territorio della provincia di Brescia, più della
città, ha generato nella storia numerose figure di compositori e di
interpreti musicali. I più importanti musicisti bresciani del '700 e
dell'800 sembrano localizzati per nascita sulla riviera del lago di Garda,
a partire da Ferdinando Bertoni di Salò (1725-1814) per arrivare a Marco
Enrico Bossi (1861-1925).
Fra i due estremi qui citati si colloca Ferdinando Gasparo Turrini, nipote
di Ferdinando Bertoni e suo allievo, al pari di Giovanni Battista Grazioli
da Bogliaco (1766 - 1820), ultimo maestro di Cappella in S. Marco a
Venezia, di Giovanni Battista Soncini bresciano, di G.A. Capuzzi, del
padovano G.A. Calegari e di Simone Mayr.
Ferdinando Gasparo Turrini, nato a Salò il 26 febbraio 1745, fu affidato
al fratello della madre, il musicista Ferdinando Bertoni, allora già
celebre a Venezia come autore di melodrammi. Il giovane Turrini iniziò
quella che doveva essere una fortunata carriera (secondo il parere dei
contemporanei), prima come maestro al cembalo nei teatri veneziani e,
subito dopo, affermandosi come operista, sulle orme del famoso zio.
UNA CARRIERA INTERROTTA
La «fortunata carriera» si interruppe, purtroppo, ben presto: nel 1773
Ferdinando Gasparo fu colpito da un'incurabile cecità, non potè neppure
continuare l'attività di accompagnatore al cembalo e, per sistemarIo, lo
zio Bertoni gli ottenne il posto di organista presso la Basilica di Santa
Giustina a Padova. Qui rimase dal 1772 al 1797, assai stimato come
virtuoso dell'organo e del cembalo, nonchè come improvvisatore.
A questo proposito il Brunati, nel suo «Dizionarietto degli uomini
illustri della Riviera di Salò» attesta: «...suonatore di cembalo e di
organo, compositore, dettatore di regole di contrappunto, si può dire che
in sé accogliesse tutta la dottrina musicale. Il suo suonare era preciso
animato e pieno di grazia. Il suo portamento leggiadro ed atto ad eseguire
i passi più difficili colla massima compostezza. Quantunque cieco e
storpio d’una mano noi l’abbiamo udito scorrere il pianoforte mirabilmente
e toccarci l’anima con note magistrali, improvvisando anche talora
pellegrini passaggi e sonate che sembravano scritte. E chi non conobbe per
fama l'organista di S. Giustina di Padova?».
Nel 1797 le truppe di Napoleone occuparono Padova e i monaci di S.
Giustina furono espulsi del convento. Verso il 1800 il Turrini,
probabilmente intimidito dagli eventi politici e impedito dalla cecità,
preferì trasferirsi a Brescia, ovvero nella città più vicina alla natia
Salò.
Dove vivesse a Brescia e dove ricoprisse la carica di organista (com'è
probabile) non emerge da nessuna fonte consultata. Certo è che si dedicò
all'insegnamento, tanto che: «...sotto la sua disciplina si formarono
valenti maestri tra i quali un Valerio, un Bresciani, una Nasolini...a
ragione si può dire: un cieco venne ad illuminare le nostre tenebre» (Valentini).
Anche la data della sua morte è incerta e oscilla, a parere di diversi
storici, fra il 1812 e il 1829. Ma non è per le circostanze di una vita di
musicista abbastanza particolare ma non avventurosa che il Turrini va
ricordare come uno dei più importanti e validi compositori bresciani,
ingiustamente dimenticato, e nemmeno come uno dei tanti «minori» del
sottobosco musicale settecentesco. Le ragioni di una stima universale da
parte dei colleghi, anche illustri, nonostante il forzato isolamento del
Nostro, vanno ricercate nelle sue opere pervenuteci, sia le poche edite
sia le inedite manoscritte.
Comprendono numerose sonate per cembalo, per pianoforte, per pianoforte e
violino, concerti per cembalo (o pianoforte) e archi, musica vocale e
strumentale, cantate.
E si esclude la produzione operistica (che pure doveva essere copiosa) in
quanto andata completamente perduta.
SULLA SCIA DEI «GRANDI»
L’esame, l'analisi di questa produzione illumina un talento notevolissimo,
talvolta eccezionale, un'intelligenza musicale in continua evoluzione,
attenta ai cambiamenti ed alle imposizioni stilistiche che provenivano dai
«Grandi» del panorama musicale settecentesco-galante.
Lo stile caratteristico del Turrini (o Bertoni, o Bertoncino, come veniva
chiamato) si può accostare, per certi aspetti, a quello di un Mozart
maturo (l’avvicinamento viene spontaneo dal confronto degli «Adagi» e dei
tempi finali delle Sonate), per altri a Giovanni Cristiano Bach e, per le
composizioni esplicitamente destinate al pianoforte, a Muzio Clementi.
Quest'ultimo è poi il dedicatario di ben dodici «Sonate»per il pianoforte
che il Turrini diede alle stampe nel 1807, con una dedica molto
significativa per la comprensione anche della psicologia del nostro
compositore, tenendo presente che di lui non abbiamo né una lettera né un
ritratto.
Queste le parole rivolte a Clementi: «Signore, ammiratore da lungo tempo
del musico Vostro genio, e desioso di far palese anche al pubblico quanto
sia grande la stima che io fo dei vostri talenti, a voi intitolo queste
mie dodici sonate, e vi prego quali si sieno, di aggradirle. Non cercate
in esse quel finissimo gusto, quella vivacissima fantasia e quella
regolarità di condotta, che distinguon le vostre, e porgonvi in cima agli
scrittori di prima classe - grazie ch'a pochi 'l ciel largo destina -
basta, che vi sieno accette per la loro, se mi è lecito il dirlo,
legittimità, che sono figlie del mio solo ingegno, e d'una immensa fatica,
che ho dovuto sostenere, in dettandole, privo affatto qual sono fin
dall'anno 1773 del più prezioso dei sensi la vista. Questa considerazione
le terrà più raccomandate a Voi e le farà, se non mi appongo, presso il
pubblico più compatite. Ma in qualunque maniera si giudichi delle figlie,
io sarò contento appieno, se persuadono a tutti la stima, che il padre fa
del vostro merito, e se giungono ad acquistargli l'onorato nome di sincero
amico. Il che se vi piaccia concedermi, renderete felice un oppresso dalla
maggiore di tutte le disavventure. Ad ogni modo sarò Vostro Servo
Ferdinando Turrini detto Bertoni. Brescia, lì 13 novembre 1807».
Clementi non dimostrò in nessun modo stima o amicizia al Turrini, e non
bisogna stupirsene dato il suo famoso carattere chiuso e diffidente.
DAL CLAVICEMBALO AL PIANOFORTE
Ma la scelta del musicista salodiano nel 1802 di com-porre esplicitamente
per il pianoforte, dopo tante indecisioni circa la destinazione tasti
erica delle sue sonate (le altre recano infatti la dicitura «per cembalo o
pianoforte» o addirittura «per organo o cembalo») permette di ascriverlo
fra quei pochissimi compositori italiani tardo - settecenteschi che
osarono scrivere per il pianoforte, imponendo lo come strumento principe
dell'800.
Ancora l'analisi delle Sonate evidenzia la sentita necessità, da parte di
Ferdinando Gasparo, di comporre per uno strumento che possa «dare» il
massimo dell'espressività; ad esempio il legato, una cantabilità
spontanea, non come quella che poteva fornire un clavicembalo, anche
buono.
Naturalmente i segni di una lunga pratica clavicembalistica restano nella
scrittura turriniana: incrocio delle mani, rapidi arpeggi scambiati fra la
mano destra e la sinistra, giochi di scale, svolazzi, successione
rapidissima di note, abbellimenti.
A questo proposito si deve sottolineare la puntigliosità del Bertoncino
circa l'esecuzione dei suoi abbellimenti: egli, allo scopo di
un'esecuzione fedele ai propri intendimenti, ci lascia ben tre «Tavole»,
ovvero spiegazioni degli abbellimenti (segnando anche le migliori
diteggiature), la terza delle quali è preceduta da questa breve
«Avvertenza»: “Essendosi l'Autore servito di alcuni segni forse poco usati
ha creduto bene di porre in fine dell'opera una brevissima Tavola
contenente la spiegazione di medesimi a solo oggetto di spiegare nel
migliore modo possibile la sua intenzione”.
l capolavori del Turrini, però, non sono le Sonate, per quanto pregevoli
possano essere molte di esse, ben si i Concerti per cembalo (ma sono di
migliore effetto per il pianoforte) e archi: ne conosciamo cinque,
inediti, il più bello dei quali è il quarto in mi maggiore. Da datarsi fra
il 1790 e il 1805, il «Concerto» in mi maggior, in tre movimenti,
Allegro-Andante un poco Largo-Allegro, è di concezione unitaria,
estremamente spiritoso e mozartiano nei due tempi estremi, mentre il tempo
centrale, in mi minore, è piuttosto melodrammatico, di rara bellezza,
ricco di finezze armoniche. Di tutte le opere del Turrini questo Concerto
è stato il più eseguito e fu riconosciuto come capolavoro anche da lsidoro
Capitanio, che ne scrisse una cadenza.
Ferdinando Gasparo Turrini meriterebbe di essere rivalutato, con
l'edizione e la revisione delle Sonate, con la pubblicazione dei Concerti,
ma soprattutto con l'esecuzione: in questo modo la sua «immane fatica»
verrebbe finalmente riconosciuta ed apprezzata. |