UN ITALIANO A PARIGI
NEL BICENTENARIO DELLA MORTE DI
GIOVAN BATTISTA LULLY
di LUIGI FERTONANI
Parlando del musicista di cui ricorrono quest'anno i
tre secoli della morte (1632 -1687) il primo problema da porsi è proprio
quello di scriverne nome e cognome:
Giovan Battista Lulli ricordandone l'origine schiettamente fiorentina
oppure Jean-Baptiste Lully per sottolinearne l'intera vita musicale spesa
in Francia alla corte del Re Sole?
Propendiamo in questa sede per la seconda soluzione, anche tenendo conto
di ciò che spinse questo musicista d'origine italiana alla corte francese:
una tenace smania d'arrivare al vertice della piramide del potere
(musicale, nel nostro caso), smania alla quale fu ben disposto a
sacrificare di nome e di fatto un'origine che lo faceva apparire quello
straniero che per Luigi XIV non voleva assolutamente essere.
Jean-Baptiste Lully dunque, un personaggio che seppe coagulare attorno a
se il favore e la stima dei potenti ed inevitabilmente l'odio dei molti
avversari: odio, come vedremo poi, assai ben meritato perché Lully non
rinunciò anche a canaglieschi colpi bassi per condurre la propria manovra
a tenaglia, fino a raggiungere ed a conservare per un decennio circa il
monopolio nella gestione della musica francese, cosa non da poco neppure
nel clima assolutistico del dominio del Re Sole.
Ma come giunge a Parigi questa ragazzetto figlio del mugnaio Lorenzo Lulli
e di sua moglie Caterina del Sera? Un vero e proprio caso: il cavaliere di
Guisa Ruggero di Lorena lo nota sul palchetto d'una fiera a Firenze mentre
danza e suona il violino; sua cugina Mademoiselle di Montpensier gli aveva
raccomandato di portare un fanciullo italiano con cui conversare
(testimonianza della considerazione in cui la nostra lingua era allora
tenuta all'estero) e Ruggero le porta un "fanciullo doc", un fiorentino
che ha respirato la stessa aria di Dante Alighieri.
Le labbra grosse, il naso schiacciato, gli occhietti ammiccanti nella
faccia brunastra: Giovan Battista non è affatto un bel ragazzo ma, come si
dice, “ci sa fare” e non fa molta fatica a salire dalle cucine di
Mademoiselle di Montpensier dove mangia come paggio fino ai piani
superiori: sa soprattutto danzare, ma improvvisa anche arie con la voce,
sa suonare e ben presto diventa anche molto amico di Lazzarini, uno dei
capi dei “Ventiquattro Violini del Re”. Presentato dal Lazzarini al
giovane Re Luigi durante una, prova del Balletto della notte (nota è la
passione del sovrano per il ballo, nel quale non esitava a cimentarsi in
prima persona) lo conquista immediatamente soprattutto per le notevoli
doti di ballerino ed anche di organizzatore di spettacolo, ma soprattutto
Lully si fa notare come cortigiano intelligente e discreto.
Poi, il primo grande colpo di fortuna: dopo poche settimane della sua
conoscenza col giovane sovrano, Lazzarini muore ed ecco Giovan Battista
“compositore della musica strumentale” iniziare la propria fortuna con
regolare nomina del Re.
L'italiano capisce che per conquistarsi i francesi deve sembrare, anzi
essere uno di loro, ma si spinge anche oltre: decide di umiliare la musica
italiana (tenuta allora in gran conto anche in Francia) a favore di quella
francese. Ha un avversario pericoloso nel Cardinale Mazzarino che fa
venire dall'Italia l'illustre Cavalli per l'allestimento di opere nella
quali comunque Lully introduce “per ordine del Re”, danze che ottengono
maggior favore delle opere stesse. Ma è ancora la morte a togliere di
mezzo dalla via del musicista i suoi pericolosi avversari: muore il
Cardinale e muore pure alcune settimane dopo (coincidenza delle
coincidenze) anche il Sovrintendente della musica Jean de Cambefort; il
giorno dopo, su proposta del ministro Colbert, Lully ottiene quel posto.
Il musicista è ormai ai vertici della vita musicale francese ma rimane pur
sempre un italiano; perciò si affretta a chiedere al Re le lettere di
naturalizzazione e, divenuto francese a tutti gli effetti, muove guerra
aperta agli italiani. A pagare per primo è naturalmente Cavalli, cui Lully
fa fare letteralmente fagotto dopo l'insuccesso della sua opera Ercole
innamorato e che giura di non voler più tornare a Parigi. Ne ha buon
motivo perché Lully già mostra l'aspirazione al potere ed allo strapotere,
anche se per “la facciata” perbenista che gli serve non esita a sposare
Maddalena Lambert, figlia del cantante Michel che gli era stato compagno
di bisbocce anni prima coi poeti libertini (periodo in cui aveva
conosciuto anche Cyrano de Bergerac): in occasione del suo matrimonio Jean
Baptiste rinnega definitivamente il mugnaio suo padre, facendosi passare
per figlio di "Lorenzo de' Lulli, gentil uomo fiorentino”. Apparentemente
la vita del Sovrintendente alla musica Lully trascorre serena, sua moglie
gli dà sei figli in sei anni (!) ma in realtà la tendenza al libertinaggio
del musicista non si mostra cosa di poco conto, se si considera che più
d'una volta portò in casa sua ed impose alla presenza di moglie e figli la
sue “conquiste”, che non furono rare. Intanto strinse amicizia con Molière,
altro “Battista” amato dal Re (che comunque predilesse sempre Lully ed il
ballo), amicizia che mise a profitto creando addirittura un genere nuovo,
componendo per l'Amore medico e Monsieur de Pourceaugnac le Arie che si
addicevano alle scene buffe; ma anche nel Borghese gentiluomo Lully
inserirà molti interventi musicali come canzoni, serenate e perfino una
lezione di ballo. Pochi anni dopo, nel 1671, va in scena la Psyché di
Corneille e Molière, per la quale Lully ha composto musiche di scena che
già s'avvicinano molto per la loro complessità ad una parti tura d'opera.
Il Re ne fu tanto entusiasta da far eseguire Prologo e Finale “... da un
numero incredibile di trombe, pifferi, cromorni e serpentoni presi da vari
reggimenti, alle cerimonie inaugurali delle fortificazioni di Dunkerque
costruite da Vàuban...”.
Ma se la concorrenza italiana s'era estinta alcuni anni prima col
passaggio della frontiera italo francese degli ultimi musicisti italiani
che facevano parte della compagnia del “Gabinetto Reale”, un'altra
minaccia si presenta con un certo Pierre Perrin, che aveva ottenuto nel
frattempo dal Re il permesso di fondare a Parigi un’Accademia di opere: il
primo lavoro messo in scena il 3 marzo del 1671 fu una Pomona al di sotto
del mediocre, ma che ottenne un successo strepitoso, tanto che il teatro
rimase esaurito per parecchi mesi. Nonostante ciò il povero Perrin,
truffato dai suoi nient'affatto scrupolosi soci in affari, finì
imprigionato per debiti alla Conciergerie e fu allora che Lully ebbe
l'idea “caritatevole” di farlo liberare in cambio del privilegio di
rappresentare opere che Perrin aveva avuto dal Re. Ottenuto questo, il Re
decretò che “ ...il Sovrintendente avrebbe avuto autorità su tutti i
musicisti francesi; nessuno avrebbe potuto dare un pubblico concerto o far
cantare un 'opera senza la sua autorizzazione; ogni teatro che impiegava
più di due musicisti gli avrebbe pagata una tassa”. Malgrado le proteste
generali ed il fatto che il Re portasse da due a dieci i musicisti “non
tassabili”, Lully si trovò ad essere completo padrone della situazione.
Come librettista si scelse Quinault, provocando i risentimenti e le strofe
velenose di La Fontaine se la prese ad esempio con l'opera Iside giudicata
troppo fredda e dotta.
Ma nulla poté fare ad esempio contro Atys che era stata tanto gustata dal
sovrano da essere poi soprannominata “L'opera del Re”; mettersi contro i
gusti regali poteva essere molto, molto pericoloso. Ciò che più era palese
era comunque l'assenza e l'impossibilità di un confronto, dato il
monopolio del Sovrintendente; Donneau de Visè scrisse nel “Mercurio
Galante”: “nessuno può essere paragonato al signor de Lully, perché egli è
il solo di cui si ascolti la musica in Francia”.
I suoi nemici tentarono di separarlo dal librettista Quinault (ottimo, nel
suo genere) per rovinarlo, e per un certo tempo ci riuscirono giocando su
beghe di Corte; ma poi Lully riuscì a riottenerlo e compose quella
Proserpina che all'epoca venne considerata il suo capolavoro ed il cui
strepitoso successo all'Opera lo fece, se possibile, ancor più ricco di
quel Creso che ormai già era. Poi, nel 1681, grande innovazione con
l'introduzione delle donne nei balletti, e mentre le ballerine facevano il
loro ingresso nei teatri, Re Luigi XIV inviò al Sovrintendente (che, non
dimentichiamolo, aveva iniziato la propria carriera come ballerino, e
probabilmente proprio per questo era piaciuto al Re) lettere di nobiltà.
Ma Lully si rifiutò di farle registrare: non era forse egli figlio di
“Lorenzo de' Lulli gentil uomo fiorentino”? Si dice che Luigi abbia
sorriso, comunque non insistette.
Poi le opere di Lully si susseguirono con la regolarità di bollettini di
guerra, anzi di vittoria: Perseo, Fetonte, Rolando, Amadis, Armida fino ad
Aci e Galatea. Stava lavorando ad Achille e Polissena quando i chirurghi
di corte operarono il Re da una fistola che da tempo l'infliggeva;
nonostante i mezzi primitivi della chirurgia dell'epoca Luigi si rimise in
salute e Lully diresse per l'occasione (l'8 gennaio 1687) un Te Deum di
ringraziamento per la guarigione.
Uomo d'azione, uomo di fortissima determinazione, ebbe ciò che voleva e
cioè il potere, anzi lo strapotere sui personaggi del proprio ambiente.
Lasciava un'eredità di rancori non scomparsi neppure dopo tre secoli, ma
anche un'eredità operistica di grande valore e che solo in epoca recente
si va riscoprendo. |