PROFILI DI MUSICISTI BRESCIANI
UN MAESTRO DEL VIOLONCELLO
GINO FRANCESCONI
di MARIA LEALI
Una delle figure preminenti della vita musicale
bresciana tra le due guerre è stata senz'altro quella di Gino Francesconi,
insigne violoncellista e didatta autorevole, che ci piace qui ricordare ad
ormai quarant'anni dalla morte.
Il suo operato, soprattutto nel campo della musica da camera, trio,
quartetto-quintetto, ha contribuito non poco a vivacizzare il pur valido
ambiente bresciano attraverso un livello esecutivo ed interpretativo, che
è oggi appannaggio solo di complessi "specializzati".
Con ciò si vuoI dire che la passione per la musica d'insieme, ora
riscoperta come una grossa novità formativa del profilo di un musicista,
era allora l'humus naturale per artisti anche dotati di capacità
solistiche.
Per Gino Francesconi la musica da camera, soprattutto il quartetto, fu una
scelta precisa, non determinata da circostanze esterne; fu il modo di
espressione artistica a lui più congeniale in quanto vedeva in essa uno
degli aspetti più elevati e severi della musica.
E fare musica da camera richiede infatti una grande preparazione tecnica,
il dominio sicuro dello strumento, l'affinamento della propria sensibilità
affinché possa vibrare in sintonia con le altre sensibilità, e infine
l'umiltà di far emergere solo e sempre l'opera d'arte: nessun funambolismo
o esibizionismo, ma autentico amore per la musica.
Gino Francesconi era nato a Padova nel 1889 e qui aveva studiato con
Arturo Cuccioli, ottimo solista, camerista e didatta, uno dei più dotati
allievi di Serato, singolare personaggio che, dapprima violinista, aveva
imparato da solo "il modo di suonare il violoncello, osservando
attentamente la maniera di suonare or dell'uno or dell'altro
violoncellista" come scrive Forino.
Nel 1912 aveva vinto il posto d'insegnante presso l'attuale Conservatorio,
allora Istituto Musicale "A. Venturi"; da quel momento la sua città
divenne Brescia e giustamente l'Enciclopedia dei musicisti bresciani lo
include nel capitolo "Bresciani di adozione".
Nel 1925 ottenne la cattedra di violoncello al Conservatorio di Parma;
successivamente passò a Firenze per approdare, nel 1940, al Conservatorio
di Milano.
In quegli anni fu spesso chiamato a ricoprire il ruolo di Io violoncello
in varie orchestre di prestigio come, ad esempio, quella del teatro S.
Carlo di Napoli, dove ebbe occasione di esibirsi anche come solista in una
prima esecuzione di un pezzo di Martucci; fu sempre molto apprezzato da
grandi direttori quali Mugnone, Del Campo ed altri.
La non vasta attività di solista lo vide impegnato anche a Berlino, sede
difficilissima, dove ottenne un grande successo di pubblico e di critica
con un concerto imperniato sulle sonate per violoncello e pianoforte. '
Ma, come si è detto, il suo interesse era rivolto ai gruppi cameristici di
trio, quintetto e quartetto formati da Isidoro Capitanio, i fratelli Gino
e Ferruccio Francesconi, Maria Trentini.
Si trattava, in altri termini, di un piccolo gruppo polivalente, nato e
cresciuto proprio con il desiderio di diffondere il repertorio da camera
allora di non facile ascolto, particolarmente nella forma inusitata del
Quintetto con pianoforte. In effetti nei loro programmi figurano opere
tuttora poco eseguite.
Il nucleo essenziale dell'attività di Gino Francesconi fu la didattica, ad
essa egli dedicò tutte le sue forze e la sua intelligenza, dando vita ad
una scuola che, iniziata con Fernanda Buranello, concertista e insegnante
di valore, ha annoverato nomi che si sono distinti nelle varie attività
musicali, ivi compreso l'insegnamento.
Quali furono i punti di forza della scuola Francesconi?
Qui ci si rifà a ricordi personali in quanto chi scrive ha fatto parte di
questa importante scuola. In primo piano era la cura estrema del suono che
doveva essere sempre caldo nella cantabilità e brillante nella tecnica;
poi l'accuratezza, direi quasi la perfezione, nella condotta dell'arco cui
il Maestro attribuiva una funzione fondamentale nell'espressività;
l'esecuzione pubblica, come atto finale di un lavoro preciso e puntuale
che nulla lasciava al caso e che pure doveva presentarsi con la
naturalezza dell'estemporaneità; l'idea sempre viva che la tecnica era un
mezzo per l'arte e non un fine, perciò lo studio, anche negli aspetti più
aridi, doveva essere sempre finalizzato agli esiti artistici.
Nel rapporto con gli allievi Gino Francesconi fu sempre amichevole, quasi
paterno; riteneva suo dovere interessarsi delle questioni personali e
perfino di salute di ognuno; il suo intervento era perciò sempre
appropriato al caso.
Ciò era frutto del grande calore umano che lo contraddistingueva; ne è
prova l'ultima volontà di lasciare i proventi delle sue pubblicazioni ad
un Istituto per l'infanzia abbandonata di Torino.
La vita solitaria, la mancanza di una famiglia gli facevano sentire la
scuola come la "sua" famiglia.
Questa dedizione e questo amore si oggettivarono in alcune opere che
ancora oggi ne attestano la grande capacità: l'Antologia didattica in tre
volumi, le Suites di Bach, e varie revisioni quali ad esempio gli studi di
Moja.
Se la bontà di un'opera può essere giudicata dalla diffusione, allora
l'Antologia didattica è sicuramente un caposaldo: infatti costituisce a
tutt'oggi, a più di quarant'anni dalla sua prima edizione, un successo
editoriale della Suvini Zerboni.
Ciò che lo differenzia dai Metodi tradizionali è la varietà del materiale
tratto, seguendo una rigorosa linea didattica, da vari autori dei quali
sceglie la letteratura più significativa: il tutto corredato da esercizi
che mettono in luce le varie difficoltà presenti nei testi e portano
gradualmente alloro superamento.
Forse questo può sembrare non molto rilevante, ma bisogna rifarsi ai
giorni della gestazione di questa Antologia (la prima edizione è del 1943)
che, nonostante i molti lustri trascorsi, rimane sempre attuale per la
modernità dell'impostazione.
Bach è l'autore con il quale è forse più arduo cimentarsi, anche se la
grandezza della sua musica e la scrittura perfettamente aderente alla
tecnica specifica di ogni strumento, hanno sollecitato la mente e la
fantasia di ogni musicista che abbia 'compreso appieno il senso della sua
opera.
Ogni edizione della Suites di Bach (all'incirca venti) rappresenta un modo
di vedere e di interpretare i pochi segni lasciatici dal grande di
Eisenach. Il manoscritto riporta infatti le note, alcune legature che
indicano piuttosto l'espressività che l'arcata, e rarissimi segni
dinamici..
È necessario perciò attuare anzitutto un'analisi filologica, quindi
stabilire per mezzo delle diteggiature, delle arcate, dei colori il modo
più consono per ottenere dallo strumento l'espressione voluta.
È chiaro che l'interpretazione di Bach è sempre molto datata poiché il
gusto dell'epoca prevale su ogni altra considerazione, tant'è che a
scorrere le prime edizioni fino alle più recenti si potrebbero tracciare
con precisione i mutamenti nel modo di suonare.
Le Suites di Gino Francesconi si inseriscono autorevolmente tra le
numerose edizioni e sono tuttora richieste per la coerenza e la semplicità
con le quali sono stati risolti i numerosi problemi di resa strumentale.
Nel 1955 si spegneva a Brescia Gino Francesconi: commemorarlo significa
non solo ricordare a quanti non lo hanno conosciuto un musicista di grande
rigore, ma anche ritrovare la matrice del violoncellismo bresciano:
attraverso l'insegna l'insegnamento degli allievi diretti e ora anche di
quelli della generazione successiva, le peculiarità della scuola non sono
state semplicemente conservate ma sviluppate fino ad ottenere risultati
degni di questa tradizione. |